
22 settembre 1843: a Roma, sul colle Gianicolo venne colpita da un fulmine la cosiddetta “Quercia del Tasso”, secolare albero indissolubilmente legato alla memoria del celebre poeta, scrittore, drammaturgo e Torquato Tasso che ebbe una vita molto difficile e avventurosa.
Era nato nel 1544 a Sorrento, nel Regno di Napoli, all'epoca un vicereame spagnolo sottomesso alla dinastia regnante degli Asburgo di Spagna. Discendeva, per parte di padre, il letterato e cortigiano veneziano Bernardo, in servizio alle dipendenze del principe di Salerno Ferrante Sanseverino, da un’antica casata nobile italiana, diffusa in seguito in Germania come Thurn und Taxis, che nel 1504 ricevette dall'imperatore Massimiliano I d'Asburgo (1459–1519) il monopolio del servizio postale in tutto il Sacro Romano Impero al quale si aggiunse poi il trasporto passeggeri, da cui deriverebbe, secondo l’ipotesi più accreditata, l’etimologia del termine “taxi”. Quando il poeta era ancora bambino, il principe di Salerno si oppose all'introduzione dell'Inquisizione spagnola nella sua città e il Tasso dovette seguirne l’esilio al seguito del padre. Lo scrittore, sempre più attratto dalla vita monastica e dalla letteratura agiografica, alloggiò anche a Napoli presso il monastero benedettino di San Severino. Fu probabilmente nei mesi trascorsi presso i benedettini che Tasso abbozzò peraltro l'incompiuta Vita di San Benedetto. Alla fine del 1594 ritornò a Roma, dove aveva già soggiornato e dal 1° aprile 1595, ormai già gravemente ammalato di tisi, prese dimora per iniziare, come lui stesso scrisse, “la mia conversazione in cielo”, nel convento annesso alla chiesa di Sant’Onofrio sul Gianicolo, all’epoca affidato ai Poveri eremiti di San Girolamo, un’antica congregazione fondata nel 1380 dal beato pisano Pietro Gambacorta (1355-1435) ma soppressa in seguito da papa Pio XI (1922-1939) nel 1933 perché ormai ridotta a pochi membri. Pochi giorni dopo il Tasso qui si spense a soli 51 anni, il 25 aprile 1595, e fu sepolto in una cappella della suddetta chiesa dove un monumento marmoreo lo immortala.
Questo stesso complesso monastico ospita ancora oggi il piccolo “Museo Tassiano” che conserva vari cimeli personali del poeta, compreso un crocifisso, un’antica ceramica e la sua maschera funebre. In una sala sono raccolte una lettera autografa e alcune delle sue opere, tra cui la più significativa, il poema epico-eroico in ottave La Gerusalemme liberata, completato nel 1575 e pubblicato per la prima volta a Venezia nell'estate del 1580 ma senza l'autorizzazione del poeta. La figura del Tasso è legata anche alla più piccola delle tre campane che si trovano ancora all’interno della cella campanaria della chiesa: fu quella, in particolare, ad aver suonato fino alla scomparsa del poeta, accompagnandolo negli ultimi momenti della sua vita. Si tramanda perfino un episodio secondo il quale, nel 1849, i garibaldini, durante i combattimenti per la difesa della Repubblica Romana, si appropriarono di alcune campane bronzee per farne cannoni e, giunti nella chiesa di Sant’Onofrio, si scontrarono con la strenua resistenza del padre guardiano, che si oppose con coraggio alla distruzione della “campana del Tasso”. La scena risultò essere tanto commovente da far breccia perfino nella fredda indole del Generale Giuseppe Garibaldi, che sembra abbia affermato: “Le campane che suonarono l’agonia del Tasso sono sacre: siano rispettate!”
Il più noto dei cimeli “tassiani” è però senza dubbio la sopracitata quercia, in origine situata nell’orto del convento di Sant’Onofrio e poi ricollocata ai piedi della scalea che ne prende tuttora il nome: la “Rampa della Quercia”. Questo resistente albero era particolarmente caro al Tasso che negli ultimi travagliati anni della sua vita, vessato da una salute assai cagionevole, amava passeggiare nei pressi e poi sostare nella pace e nel silenzio, così rigeneranti, di quel luogo solitario da cui poteva godere della vista dell’intera Roma e respirarne la storia.
L’amenità di questo luogo, dominato da questo celebre arbusto, conquistò non solo il Tasso ma anche un grande santo, che visse a Roma alla fine del Cinquecento e che morì poco più di un mese dopo il poeta: Filippo Neri (1515-1595). Questi si recava spesso in questo luogo, da lui molto apprezzato perché favoriva particolarmente la meditazione, il riposo e la contemplazione. Intorno al XVII secolo, a ricordo di “Pippo Bono”, come fu ribattezzato dai Romani il gioioso sacerdote, fiorentino di nascita, i religiosi appartenenti alla sua congregazione, gli Oratoriani o Filippini, approfittando di una cavea naturale costruirono, nella zona dove sorge lo storico albero, l’Anfiteatro della Quercia del Tasso (anche se il termine “anfiteatro” non è propriamente esatto, dal momento che la gradinata si sviluppa in una sola cavea, quindi non è doppia), dove mettevano in scena spettacoli teatrali. Questa tradizione è ripresa nel secondo dopoguerra, quando d’estate divenne, fino al 2019, sede fissa di rappresentazioni sceniche.
La fama del poeta si accrebbe nei secoli successivi sino a raggiungere il massimo grado in epoca romantica, quando il Tasso, che venne a Roma per essere “laureato” poeta ma che non ricevette mai la tanto sospirata corona, incarnò pienamente il mito dell’eroe perseguitato, sofferente e infelice. Il celebre scrittore, poeta e drammaturgo tedesco Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) non mancò di visitare la tomba (2 febbraio 1787), e così pure vi si recò Giacomo Leopardi (1798-1837) il 15 febbraio 1823, provando molta commozione, poiché stimava particolarmente il Tasso cui dedicò anche una delle Operette morali. Il poeta marchigiano, durante il suo soggiorno romano, in una delle Lettere, datata 20 febbraio 1823 e indirizzata al fratello minore, il conte Carlo Orazio Leopardi (1799-1878), anch’egli letterato, scrisse: “fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l'unico piacere che ho provato in Roma”.
Nel 1898, nel muretto di sostegno sotto l’arbusto l’amministrazione capitolina ha affisso una lapide marmorea con la seguente iscrizione: “All’ombra di questa quercia / Torquato Tasso / vicino ai sospirati allori e alla morte / ripensava silenzioso / le miserie sue tutte / e Filippo Neri / tra liete grida si faceva / co’ fanciulli fanciullo / sapientemente”. Lo storico albero è stato in seguito persino raffigurato nel 1843, poco tempo prima che fosse fatalmente colpito dal fulmine che l’ha gravemente danneggiato, in un olio su tela, proveniente da una collezione privata e donato nel 1967 al Museo di Roma di Palazzo Braschi: ne è autore il pittore e incisore inglese Arthur John Strutt (1818–1888), scomparso a Roma, dove, per suo volere, la famiglia costruì una tomba gentilizia al cimitero acattolico di Testaccio. Nel 1903 anche il pittore romano Ettore Roesler Franz (1845–1907) dipinse, in uno dei suoi celebri acquarelli, uno scorcio con la nota quercia cui è stato dedicato persino un breve componimento letterario: la celebre filastrocca umoristica “La quercia del Tasso”, scritta dal noto scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, giornalista e paroliere romano Achille Campanile (1899–1977). Fu pubblicata in primis nel 1973 ne “Il manuale di conversazione” e una seconda volta nel 1975 nel testo “Vite degli uomini illustri”.
Il 28 ottobre 1929 è stata collocata una fontana in travertino a ridosso della Quercia del Tasso, per commemorare probabilmente il 333° anniversario della morte del poeta sorrentino: nel retro è infatti scolpito un verso tratto dal XV canto dell’opus magna tassiana, la “Gerusalemme Liberata”. Il progetto è dell’architetto napoletano Emanuele Cito Filomarino (1901–1930), morto a Roma, giovanissimo, all’età di appena ventinove anni ma diventato famoso per aver illustrato la prima edizione assoluta di “Tarzan e le scimmie”, capolavoro della letteratura per ragazzi frutto della penna dello scrittore statunitense Edgar Rice Burroughs (1875-1950). Nel 1928 il Governatorato di Roma indisse infatti un concorso rivolto a tutti gli artisti italiani residenti nell’Urbe, per sostituire dieci fontanelle in ghisa distribuite sul territorio romano e uno dei bozzetti vincitori del concorso fu vinto da questo valente architetto partenopeo. Nel 2013 la Sovrintendenza capitolina ha avviato un piano di intervento restaurativo della fontana, restituendola così allo splendore originario.
In una notte del maggio 2014 però, un incendio, purtroppo di accertata natura dolosa, ha irrimediabilmente carbonizzato il tronco superstite della quercia, di cui non rimane che un tizzone annerito, sorretto a stento da uno scheletro di metallo arrugginito: si è pensato bene di sottrarlo ad ulteriori danneggiamenti collocandolo all’interno del suddetto Museo Tassiano.
Tuttavia, la Quercia del Tasso rimane uno dei posti più suggestivi di Roma, che riesce ancora ad incantare tutti con la sua, un po’ malinconica ma senza dubbio struggente bellezza.