TRIPPLUS_LA_TOMBA DI UNA GIOVANE MAMMA_foto

La chiesa romana di Santa Maria del Popolo è uno scrigno d’arte e spiritualità, che racchiude all’interno un autentico gioiello: a sinistra dell’altare maggiore vi sorge infatti la Cappella Cerasi, così chiamata da monsignor Tiberio Cerasi (1544–1601), romano, giurista e Tesoriere Generale della Reverenda Camera Apostolica sotto papa Clemente VIII (1592-1605). In data 8 giugno 1600 questo religioso acquista questo sacello, eretto, a partire dal 1476, in seguito alla ricostruzione, nello stesso luogo, per volontà di papa Sisto IV (1471-1484), di una preesistente cappella dedicata alla Vergine e commissionata dal porporato veneto Pietro Foscari (1417-1485), noto come “Cardinale di Venezia”.

La nuova cappella ha mantenuto il titolo mariano, in quanto è dedicata all’Assunta ma anche ai due Santi Pietro e Paolo, principali patroni di Roma. L’intitolazione le deriva dai tre capolavori pittorici che tuttora la ornano, voluti dal Cerasi e firmati dai due “giganti” che hanno segnato una svolta epocale nella pittura romana ad inizio Seicento. La pala d’altare, che rappresenta appunto l’Assunta (1600-1601), è opera, infatti, del grande maestro bolognese Annibale Carracci (1560–1609) mentre le due tele collocate nelle pareti laterali, raffiguranti, rispettivamente, a sinistra la “Crocifissione di San Pietro” (1600-1601) e a destra la “Conversione di San Paolo” (anno 1601), sono firmate dal genio di Michelangelo Merisi (1571-1610), nato a Milano ma da genitori originari del borgo bergamasco di Caravaggio, pseudonimo con cui tuttora questo sommo artista lombardo viene identificato.

Mentre però il nostro sguardo rimane estasiato a contemplare queste tre meraviglie che attirano turisti e pellegrini da tutto il mondo, nella semioscurità della cappella, ad un occhio molto attento, non può sfuggire un’insolita ed inaspettata tomba. La defunta in questione si chiamava Therese Stephanie Pelzer, ed era «letteris et musicis sapientissima», come recita l’iscrizione funebre: si tratta della giovane consorte di Antonio Cerasi (1814-1899), discendente di monsignor Tiberio Cerasi e banchiere di fiducia di papa Pio IX (1846-1878). Costui era lo stesso che volle, con lascito testamentario, destinare il suo intero patrimonio all’edificazione, sul colle Celio, di un istituto di beneficenza che potesse accogliere gli invalidi e ammalati cronici di Roma e che prese il nome di Istituto dell’Addolorata. Fu in seguito amministrato con le sovvenzioni dello stesso lascito fino al 1973, quando la Regione Lazio lo acquisì e ne impose la trasformazione in struttura ospedaliera senza precisa connotazione. Antonio Cerasi aveva sposato in prime nozze Therese, nativa di Aquisgrana (in tedesco Aachen), storica città tedesca, ma la giovane donna purtroppo morì prematuramente di parto nel 1852, a soli ventisette anni, nel dare alla luce il figlio primogenito della coppia.

Distrutto dal dolore, Antonio, nominato da Pio IX Conte di Monterado e unitosi, in seconde nozze, alla nobile friulana Giulia di Colloredo (1841-1918), la stessa benefattrice che eseguì le volontà testamentarie del marito (a entrambi sono peraltro intitolate due vie nel quartiere romano di Monteverde), volle che la sua prima sposa riposasse nella cappella di famiglia in Santa Maria del Popolo in un sepolcro in cui fece incidere l’epitaffio “Post tenebras spero lucem”. Sotto questa iscrizione sfugge a molti, calamitati dalla potenza espressiva dei tre capolavori pittorici sopracitati, un bassorilievo che rappresenta la giovane defunta, con le pieghe del vestito che cadono morbide e che giace serenamente sul proprio letto con la testa appoggiata su due cuscini e con gli occhi ormai chiusi ma con un dolce sorriso che illumina il suo volto sereno. La donna stringe al petto il suo bambino che, appena venuto alla luce, pare dormire sereno ed è avvolto da un velo leggero: un’immagine tenerissima ma, allo stesso tempo, struggente che interpreta in modo delicato la strenua e continua lotta tra la vita e la morte. La scena, fortemente evocativa, ci fa immaginare la breve vita di questa donna, la sua passione per la poesia e la musica, la difficile gravidanza con il terribile travaglio del parto e poi l’improvvisa morte di lei e del suo bambino, Carlo, che le sopravvisse soltanto di un giorno ma questo Therese non lo seppe mai: il marito e padre Antonio volle immortalarli entrambi, uniti per sempre in un eterno ed immortale abbraccio.

Questa tomba, ultimata nel 1857, è stata recentemente attribuita al maestro Giuseppe Tenerani (1793-1866), nativo del borgo di Torano, frazione del comune di Carrara, da cui proviene lo stesso marmo bianco, estratto dalle cave delle Alpi Apuane ed uno dei marmi più pregiati al mondo, tanto da essere decisamente quello preferito da Michelangelo Buonarroti (1475-1564), utilizzato per l’opera in questione, per la quale lo scultore carrarese si sarebbe ispirato ad un altro monumento funebre, opera del fratello maggiore, Pietro Tenerani (1789–1869), uno dei grandi maestri della scultura italiana nell’Ottocento. Quest’ultima tomba, terminata nel 1847, gli venne commissionata da un altro nobile, Giulio Lante Della Rovere (1789-1873), VII Duca di Bomarzo, nella propria cappella gentilizia in un'altra chiesa romana, Santa Maria sopra Minerva, a perpetuo ricordo della consorte Maria Colonna (1799-1840), anche lei scomparsa in giovane età e raffigurata vestita e adagiata sul suo letto.

In ogni caso solo Roma, la Città Eterna, è in grado di regalare questa suggestiva commistione di pittura e scultura che magistralmente si giustappongono in uno spazio sacro piccolo ma inaspettatamente ricco e significativo.