
25 ottobre 1634: a Roma, durante i lavori di costruzione di una chiesa nei pressi del Foro Romano, dedicata alla santa martire romana Martina e nel frattempo interrata, avvenne un incredibile miracolo.
Tutto inizia nel VII secolo, quando papa Onorio I (585–638) sul luogo della probabile sepoltura eresse un edificio sacro a questa giovane, martirizzata a Roma nel 228 durante l’impero di Alessandro Severo (208–235), sfruttando i vetusti ma ancora esistenti ambienti della “Curia Hostilia”, nel frattempo adattati a “Secretarium Senatus”, un edificio dalla destinazione piuttosto incerta: da sede di tribunale per i processi ai membri del Senato, ad archivio senatoriale o a luogo adibito a riunioni segrete dei senatori. Per la sua pregevole collocazione tra il Foro Romano ed i Fori di Cesare e di Augusto questa originaria chiesa ebbe anche l’appellativo di “Santa Martina in tribus foris”. Nella sua fase più antica aveva una pianta rettangolare ed era munita di abside ma nel 1588 papa Sisto V (1585-1590) la concesse in perpetuo all’Accademia di San Luca, originatasi dall’antica Università delle Arti della Pittura di Roma in quanto la precedente sede dell’istituzione, la chiesa di San Luca dei Pittori all’Esquilino, molto vicina all’abside della basilica di Santa Maria Maggiore, era stata demolita per poter attuare il grande piano architettonico dello stesso Sisto V che proprio in quella basilica papale volle edificare la sua cappella funeraria.
Negli ambienti di quella originaria chiesa in costruzione e nelle stanze di un vecchio granaio adiacente si svolgevano dunque le attività dell'Accademia di cui, nel 1602, l’incarico di secondo rettore era rivestito dall’architetto bolognese Ottaviano o Ottavio de’ Nonni detto Mascherino o Mascarino (1536-1606), molto stimato dall’illustre concittadino papa Gregorio XIII Boncompagni (1572-1585). All’interno di tale istituzione il maestro emiliano ne divenne principe nel 1604 e gli venne pertanto assegnata la direzione dei lavori del cantiere per la costruzione ex novo della suddetta chiesa sul sito del titolo primitivo di Santa Martina. L’architetto felsineo avrebbe disposto poi di essere ivi sepolto, in una cappella da lui stesso progettata, insieme all’amico architetto e pittore palermitano Tommaso Laureti (1530-1602), conosciuto nella natìa Bologna.
Con la morte del Mascherino i lavori si interruppero ma papa Urbano VIII Barberini (1623-1644) accordò nel 1634 all’illustre architetto e pittore toscano Pietro Berrettini, noto come Pietro da Cortona (1596-1669), appena nominato principe dell’Accademia di San Luca, la possibilità di costruire nei sotterranei della chiesa la sua cappella funebre a patto che “l’avesse a dotare, risarcire ed abbellire a suo gusto e volontà”, ed a sue spese. Così il maestro cortonese iniziò il suo progetto e cominciò a scavare sotto l’altare. All’improvviso affiorarono dagli scavi una cassa con molti resti ed una lamina di terracotta con la seguente iscrizione: “Qui riposano i corpi de’ Sacri Martiri Martina Concordio Epifanio con loro Compagno”. Questo evento suscitò un tale entusiasmo che favorì il supporto, anche economico, della famiglia Barberini che decise di investire nei lavori di ricostruzione della chiesa e ne affidò la fabbrica all’architetto toscano, il quale nella cripta, oltre al proprio monumento funebre, progettò la cappella centrale, dedicata a Santa Martina, dove furono collocate le reliquie della martire. A Pietro da Cortona, che volle peraltro continuare a beneficiare la chiesa anche dopo morto, lasciandola per testamento dotata di rendite, dobbiamo però anche la maestosa cupola barocca e l’altare maggiore dell’imponente edificio.
Della vicenda terrena della giovane santa Martina, il cui nome deriva dal cognomen latino “Martinus”, che significa “dedicato a Marte” il quale, oltre ad essere il dio guerriero per eccellenza, rappresentava la virtù e la forza della natura e della gioventù, si hanno purtroppo tuttora scarse informazioni. Lo stesso pontefice Urbano VIII ne ripropose la devozione ai romani, fissandone la memoria liturgica al 30 gennaio, proclamandola patrona di Roma e compose anche un inno in onore della santa: “Martinae celebri plaudite nomini, Cives Romulei, plaudite gloriae” (“Celebrate il celebre nome di Martina, Cittadini di Roma, celebrate la sua gloria”), invitando ad ammirarla nella vita immacolata, nella carità esemplare e nella coraggiosa e luminosa testimonianza resa a Cristo col martirio. Per questo motivo papa San Gelasio I (492-496), nativo di Roma ma probabilmente di origine nordafricana, quando istituì e fissò in data 2 febbraio la festa liturgica della Presentazione di Gesù al Tempio, nota nella Città Eterna come “Candelora”, iniziò la pia tradizione di distribuire i ceri benedetti al popolo proprio nella prima chiesa a lei dedicata.
La festa della santa era già celebrata nel secolo VIII ma per sapere qualcosa su di lei è necessario attingere notizie da una Passio leggendaria. Secondo questo racconto agiografico, Santa Martina era una diaconessa, figlia di un nobile romano. Arrestata per la sua esplicita professione di fede, venne condotta in tribunale al cospetto dell'imperatore Alessandro Severo (222-235), un principe aperto a tutte le curiosità, al punto di includere Cristo tra le divinità venerate dalla famiglia imperiale, e pertanto estremamente tollerante verso i cristiani.
Nella Passio è narrato un elenco di atroci torture inflitte dall'imperatore alla santa: Martina, però, trascinata davanti alla statua di Apollo, la fece andare in frantumi, provocando subito dopo un terremoto che distrusse il tempio e uccise i sacerdoti. Il prodigio si verificò di nuovo con la statua e il tempio di Artemide. Tutto ciò avrebbe dovuto indurre i suoi persecutori a riflettere ma al contrario, questi infierirono sulle delicate membra della fanciulla sottoponendola a crudelissimi tormenti, dai quali lei uscì sempre illesa. Furono infine costretti a decapitarla, ponendo così fine al suo supplizio.
Il culto di santa Martina è comunque attestato non solo a Roma ma anche a Martina Franca (Taranto), dove è giunto in modo particolare. Nel 1730 il cardinale Tommaso Innico Caracciolo juniore (1642-1730), nativo dello stesso borgo pugliese e appartenente alla famiglia dei duchi di Martina, pochi mesi prima di morire, volle infatti munificamente donare alla città natale e in particolare alla Collegiata di San Martino, alcuni frammenti ossei della martire romana, conservati in un prezioso reliquiario d'argento e provenienti dalla suddetta chiesa romana a lei dedicata, della quale il porporato martinese aveva il titolo cardinalizio, accompagnando il dono con una affettuosa lettera in cui annunciava di voler far dono alla città delle reliquie della santa che tuttora ne porta lo stesso nome.
Roma, dunque, non finisce mai di stupire con il suo unico e incredibile intreccio che lega provvidenzialmente sacro e profano.