A Roma, in via dei Cerchi, a pochi metri dall’incrocio con via di San Teodoro, tra il Circo Massimo e le pendici del colle Palatino, ci si imbatte in un curioso edificio che presenta una finta facciata seicentesca concava, a vela, con finestre di varie forme e decorazioni, tra cui motivi a gigli (fleurs de lys), il simbolo araldico della famiglia Farnese. La struttura doveva essere infatti uno dei casali appartenenti al complesso degli Horti Farnesiani, tra i primi giardini botanici d’Europa. Questi vennero progettati dall’insigne architetto emiliano Jacopo Barozzi da Vignola (1507-1573), sulla sommità settentrionale del colle Palatino, per volontà del cardinale Alessandro Farnese junior (1520-1589), nipote di papa Paolo III (1534-1549), amante della natura come il suo illustre avo, che sul colle Vaticano edificò il suo Giardino Segreto (dal latino “secretum” ovvero “privato”), ampliato nel 1676 e divenuto l’attuale Cortile Quadrato.
Se si osserva con attenzione la sommità di questa costruzione barocca, sul cornicione composto da 18 grandi aperture ad oculi, si può scorgere, in posizione centrale, anche una mano gigantesca con l’indice e il pollice che puntano verso il cielo, replicata in bassorilievo su una delle finestre a destra. Si tratta probabilmente di un frammento di un acrolito, una statua colossale, forse un ex-voto, andato perso e sostituito oggi da un semplice calco in gesso, forse costruita per dare un significato misterioso alla casa.
Nell’antica Roma, a partire già dal periodo repubblicano, questo gesto era lo stesso con cui i comandanti militari e gli imperatori chiedevano il silenzio prima dell’adlocutio, un discorso con il quale arringavano le truppe in vista di una imminente battaglia. I Romani, che sono soliti affibbiare nomignoli, spesso sarcastici, a persone e cose, hanno beffardamente soprannominato questo “arto” la “Mano di Cicerone”. Apparentemente l’accostamento con l’arpinate Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.), il grande avvocato, politico, scrittore, oratore e filosofo dell’Antica Roma, sembra inesistente ma, se risaliamo alla morte di quest’ultimo, una connessione può sussistere.
Cicerone era considerato il padre della patria per aver salvato la Repubblica Romana dalla congiura ordita dal generale Lucio Sergio Catilina (108–62 a.C.), a seguito dell’uccisione di Giulio Cesare (100-44 a.C.). Dopo l’accordo tra Ottaviano (63 a.C.-14 d-C.), Marco Antonio (83-30 a.C.) e Marco Emilio Lepido (90-13 a.C.) che costituirono il secondo triumvirato, Cicerone si inimicò Marco Antonio, pronunciando contro di lui le famose orazioni dette “Filippiche” e pertanto da quest’ultimo venne inserito nelle liste di proscrizione e mandato in esilio nella sua villa di Formia dove però fu raggiunto dai sicari, inviati dallo stesso Marco Antonio, e barbaramente ucciso.
Plutarco (46 circa–127 d.C.), storico, sacerdote, filosofo greco ma anche cittadino romano con il nome Lucio Mestrio Plutarco, scrive, nelle Vite Parallele, che Cicerone fu colpito a morte nella sua proprietà sotto i colpi di Erennio. Su ordine di Antonio, poi, vennero tagliate “la testa e le mani con cui aveva scritto le Filippiche”. Tito Livio (59 a.C.–17 d.C.), il principale storico dell’Antica Roma, narra invece negli Ab Urbe condita che gli fu tagliata solo la mano destra, in seguito esposta, insieme alla testa, sui Rostri, le tribune nel Foro Romano da cui i magistrati arringavano la folla, chiamate così perché decorate con le “rostra”, ovvero gli speroni di bronzo delle navi nemiche sconfitte. Il riferimento alla testa ed alla mano destra amputate è testimoniato anche da Lucio Cassio Dione o Dione Cassio (155–235), storico e politico romano di lingua greca, nella sua Storia Romana. In ogni caso l’episodio del taglio della mano (o delle mani) è riportato in tutte le fonti storiche ma l’unico punto in comune sulle mutilazioni cui venne sottoposto il cadavere di Cicerone è che gli venne amputata la mano destra, la stessa riprodotta da questa insolita scultura, il cui indice puntato vorrebbe far riferimento al gesto accusatorio dell’oratore nei confronti del suo avversario politico.
Nel Cinquecento si narrava che il dito della Mano di Cicerone indicasse il prezzo del vino, ovvero 1 bajocco a fojetta (italianizzato in “foglietta”), corrispondente alla misura di mezzo litro, in vendita in una bottega là aperta e l’insolita scultura diede persino il nome ad un edificio sacro costruito nel Medioevo: la chiesa di Santa Maria de manu. Il titolo mariano della chiesa le derivava da un’immagine della Vergine assai venerata. Si narra che questa icona, colpita ed oltraggiata da alcuni ebrei quando era ancora addossata ad un edificio in strada, avesse iniziato a sanguinare. Naturalmente la notizia del fatto miracoloso si diffuse presto e molti fedeli affluirono davanti alla Madonna per chiedere grazie. Per evitare che venisse danneggiata, fu deciso di costruirle un oratorio dove la Madonna dei Cerchi (così venne denominata, probabilmente dalla corruzione della parola “circo”, in riferimento al prospicente Circo Massimo) potesse essere venerata in tutta sicurezza. Qui ebbe sede anche la Congregazione della Madonna dei Cerchi e di Gesù Nazareno, che restò in vita fino alla demolizione della chiesa stessa, nota poi come Santa Maria dei Cerchi, avvenuta nel 1939 quando la via fu asfaltata ed ampliata con la demolizione di alcuni edifici e dell’officina del Gas sul lato del Circo Massimo e di altre strutture sul lato del Palatino. Al civico 125 è ancora visibile una porzione dell’abside della chiesa, ormai sconsacrata e divenuta anche sede di una bottega di maniscalco.
L’edificio divenne in seguito proprietà dei Padri Benedettini Olivetani, congregazione monastica fondata nel 1313 a Monte Oliveto Maggiore, presso Siena, dall’eremita senese San Bernardo Tolomei (1272–1348), e trasformato in monastero annesso alla limitrofa chiesa di Sant’Anastasia, tra le prime erette a Roma in epoca paleocristiana presso il luogo dove si ritiene fosse ubicato il Lupercale, la grotta in cui Romolo e Remo, i mitici gemelli fondatori di Roma, vennero allattati dalla Lupa. Oggi ospita nelle sue sale un unicum nel panorama culturale italiano: la Biblioteca ed il Museo della Cucina, contenenti una delle più importanti ed eclettiche collezioni private di gastronomia esistenti in Italia.
Il fatto stesso che la “Mano di Cicerone” sia sopravvissuta sino ai giorni nostri è, dunque, un attestato della fama goduta da Marco Tullio Cicerone presso il popolo romano nel corso dei secoli per aver incarnato la figura di una persona che si è saputa distinguere per la sua fermezza e per il coraggio con cui ha saputo difendere le sue posizioni.