TRIPPLUS_IL PONTE DI RIPETTA SCOMPARSO_foto

A Roma, sia in epoca romana che durante il periodo papale, i ponti scarseggiavano e pertanto il traffico fra le due sponde del Tevere era svolto anche mediante barconi, assicurati ad una fune tesa e sospesa tra le due sponde che ne rendevano l'uso abbastanza sicuro persino con forte corrente. Questa sorta di guadi “artificiali”, chiamati "barchette", tuttora ricordate anche nell’odonomastica da via della Barchetta (tra via di Monserrato e via Giulia) rimasero in uso fino ai primi tempi di Roma Capitale. Le “barchette”, che partivano da appositi imbarchi, venivano spinte a fiume dai “barcaroli”. Il costo del passaggio era irrisorio, mezzo bajocco, o pochissimi centesimi. I barcaroli erano riuniti in una congregazione e, quando i ponti a Roma divennero sufficienti, scomparvero sia le barchette traghettatrici che i barcaroli.

Dopo l'Unità d'Italia si edificarono infatti ben nove ponti nuovi. Tra questi alcuni non esistono più, come quello costruito al porto di Ripetta, o porto Clementino, perché voluto da papa Clemente XI, situato lungo il corso del Tevere, nel rione Campo Marzio, e il cui disegno fu affidato all'architetto Alessandro Specchi, che si avvalse della collaborazione di Carlo Fontana. L'opera, per la cui costruzione furono impiegati materiali di spoglio provenienti dal Colosseo, fu inaugurata il 16 agosto 1704. Nel tempo il porto subì un rapido degrado e venne infine demolito a seguito della costruzione dei "muraglioni" del Tevere, quando Roma divenne capitale del Regno d’Italia.

Il primo ad avere l'idea di costruire un ponte là dove sarebbe in seguito sorto quello scalo fluviale fu in realtà Sisto V (1585-1590), il primo papa urbanista che trasformò notevolmente l’assetto di Roma: il progetto era pronto e si erano persino trovati i fondi per l'opera, ma la sua realizzazione venne impedita probabilmente per ragioni strategiche, temendo che avrebbe potuto costituire una nuova via di accesso per il nemico a Castel Sant'Angelo. Il ponte sospeso di Ripetta, oggi scomparso, insieme al porto, verrà in realtà edificato qualche secolo dopo: doveva essere un ponte provvisorio, ma durò ben ventiquattro anni e venne smantellato dopo la costruzione di ponte Cavour nel 1901. Nel 1847 si costituì infatti una società per la costruzione di quattro ponti sospesi, chiamata appunto “Società dei ponti sospesi”: il ponte sospeso di San Giovanni dei Fiorentini, il ponte sospeso di Testaccio, la riattivazione del ponte Rotto, e il ponte sospeso al porto di Ripetta. In realtà la società edificò solo la parte mancante di ponte Rotto, impiegando sette anni per terminare il lavoro. Per cui alla fine ci fu una lite giudiziaria e la revoca dell'appalto.

L'edificazione del ponte di Ripetta passò così ad una società belga, che edificò il ponte in ferro e legno: lungo un centinaio di metri e dotato di illuminazione a gas, venne inaugurato il 14 marzo 1879, nello stesso giorno in cui il re Umberto I compiva trentacinque anni. I fratelli Lumière ci hanno lasciato una rara e pregevole testimonianza cinematografica di questa passerella di Ripetta, cui sono dedicate anche copertine dell’Illustrazione Italiana e foto private, ad opera di professionisti, tra cui i fratelli aquilani D’Alessandri, che hanno miracolosamente immortalato quella Roma che stava scomparendo per sempre.

L'ingegner Calvi, l'allora capo del Ministero dei Lavori Pubblici, voleva salvare il porto di Ripetta, e aveva proposto di costruire un altro ponte più a valle, all'altezza dell'attuale piazza Nicosia, dove oggi c'è il ponte Regina Margherita, ma non venne ascoltato e si decise di edificare un nuovo ponte proprio nel mezzo dello stesso scalo fluviale, voluto da papa Clemente XI, dandone uno dei colpi di grazia più importanti alla distruzione. Il Comune di Roma decise così di edificare quello che oggi è ponte Cavour e il ponte di Ripetta venne purtroppo smantellato. Scomparve allora anche la cosiddetta “barca di Caronte”, che traghettava i romani oltre il fiume: chi voleva infatti andare a farsi un "goccio" a Prati, il nuovo rione sorto nell’area ricoperta dai prati che circondavano la Mole Adriana e dai quali la zona stessa prende nome, doveva effettuare la traversata su questa imbarcazione, guidata dal barcaiolo Totò. Siamo all’altezza del cosiddetto “piagaro”, la piega del Tevere in cui si depositava la rena formando piccole spiagge, e dove, soprattutto l’estate, trovavano refrigerio i romani, che, in occasione delle feste, vi si recavano per gustare le fave e la pasta con le “ciriole” (il tipico pesce di fiume), servita sugli “sciacquarelli” (palette di legno usate dai barcaroli per buttare fuori l’acqua dalle barche).

Il 9 luglio del 1890, il ponte di Ripetta fu peraltro teatro di uno spaventoso delitto, che indignò tutta Roma: Augusto Formilli, volendo disfarsi della moglie per andare a convivere con l'amante, la condusse qui e la gettò nel fiume. La donna si era disperatamente aggrappata alla spalletta del ponte per non precipitare e l'uomo la colpì così ferocemente che la donna, abbandonata la presa, precipitò nel Tevere ed annegò: il suo corpo non fu mai ritrovato e l’uxoricida, riconosciuto come assassino, evitò il linciaggio, ma venne arrestato, giudicato e condannato a trent’anni di carcere nell’allora sede della Corte d’Assise, l’aula borrominiana dell’Oratorio dei Filippini, espropriata dopo il 1870 e destinata, insieme a una parte dell’annesso convento, ad aula di tribunale. Quando il ponte di Ripetta scomparve, si rimosse dunque anche il ricordo di quel tragico delitto. Il porto di Ripetta fu però anche teatro della famosa impresa del funambolo francese Charles Blondin, che, dopo il tentativo riuscito alle cascate del Niagara, attraversò anche il Tevere su una corda posta a 25 metri di altezza tra la casa degli Specchi sulla riva sinistra e un tronco di albero sulla riva destra: molte persone accorsero, accalcandosi sul ponte per assistere all'impresa dell’acrobata transalpino che si fregiò così anche della attraversata “romana” del ponte di Ripetta.

Roma ha pertanto, da quando è diventata capitale, cambiato molto il suo assetto urbanistico ma, fortunatamente, i connotati architettonici della sua quasi bimillenaria storia, che mirabilmente si compenetrano, sono stati preservati dalla distruzione e la rendono ancora un unicum davvero inimitabile.