
Il 28 gennaio 1621 muore a Roma, dove era nato nel 1552, papa Paolo V (1605-1621), al secolo Camillo Borghese. Venne sepolto nella propria cappella funeraria, ricavata all’estremità sinistra del transetto della basilica di Santa Maria Maggiore, lo stesso sacello in cui è conservata, sopra l’altare principale, l’icona mariana della Salus Populi Romani, tanto cara a molti romani e a papa Francesco.
Durante il pontificato di Paolo V venne ultimata la demolizione dell’antica basilica di San Pietro, eretta in epoca costantiniana. Il delicato compito spettò all’insigne architetto ticinese Carlo Maderno (1556-1629), allora Sopraintendente della Fabbrica di San Pietro che, modificando il progetto michelangiolesco, costruì la navata centrale, il portico, l’Aula e la Loggia delle Benedizioni del nuovo tempio.
A questo pontefice si deve però anche un altro significativo intervento urbanistico: il restauro del decimo (in ordine di costruzione) acquedotto di Roma, edificato dall'imperatore Traiano (Aqua Traiana), di cui portava il nome, nel 109, per dotare di un apparato idrico la regione urbana di Trastevere, l'unica che a quell'epoca non ne era ancora dotata. Questa opera pubblica in verità fu più di una volta tagliata da alcune popolazioni barbariche e poi ripristinata a più riprese nel corso dei secoli, per il funzionamento dei mulini e per l'approvvigionamento dei palazzi pontifici. Grazie però a questo papa l’impianto venne completamente ricostruito su ciò che era rimasto in piedi delle antiche strutture. Nacque così l’Acqua Paola (Aqua Paula), così chiamata in onore del suo nome papale, che garantì adeguatamente l’utilizzo dell’acqua non solo alla zona circostante la basilica di San Pietro ma a tutta l’area che si estendeva, all’epoca, alle spalle della sponda destra del tratto urbano del fiume Tevere, alimentando anche, nella sponda opposta, il rione Regola.
Qualche decennio prima Sisto V (1585-1590) rinnovò la consuetudine degli imperatori romani, i quali edificavano, non solo a scopo urbanistico ma anche propagandistico, monumentali fonti al termine degli acquedotti, definite “mostre” (corruzione del vocabolo latino “munus”, “dono” in quanto considerate un atto munifico nei confronti del popolo). Paolo V non volle essere da meno e fece così costruire una scenografica fontana sul colle Gianicolo, nota come il Fontanone dell’Acqua Paola. Immortalato in numerosissimi film e anche nella canzone Roma Capoccia del cantautore romano Antonello Venditti, per la sua collocazione, all’interno delle mura cittadine, il Fontanone può essere però definito come mostra “urbana” di questo acquedotto. Paolo V volle però edificarne anche una “rustica”, in aperta campagna, nell’area verde situata sul colle Vaticano e circostante la basilica di San Pietro, corrispondente ai moderni Giardini Vaticani. Si tratta della “Fontana dell’Aquilone” o “Fontana dello Scoglio”, descritta dall’incisore Giovanni Maggi (1566–1630) nella sua mappa dei possedimenti vaticani, pubblicata in occasione dell’Anno Santo 1625, come «celeberrimus atque admirabilis magnae aquarum copiae fons rusticus» («famosissima e mirabile sorgente campestre di grande abbondanza d'acqua»). I lavori per l’edificazione di quest’impianto idrico, iniziati nell’autunno del 1611, coinvolsero alcuni tra i più insigni architetti e scultori dell’epoca. L’elaborazione del disegno si deve all’architetto olandese Jan van Santen, italianizzato in Giovanni Vasanzio (1550–1621), con il supporto dello stesso Carlo Maderno, nipote di un altro insigne architetto di nome Domenico che, per ironia della sorte, portava il cognome “Fontana” (1543-1607) e, probabilmente, anche con la collaborazione di un valente idraulico e fontaniere, sempre ticinese, allora al servizio presso la corte pontificia: Martino Ferrabosco (scomparso nel 1623).
La fontana fu decorata con statue create da celebri scultori: viene attribuito a Stefano Maderno il tritone che suona la conchiglia, collocato nella nicchia in fondo a destra e da cui, molto probabilmente, ha tratto ispirazione Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) quando ha scolpito il suo “Tritone” che domina la nota fonte d’acqua alla quale dà il nome, al centro di piazza Barberini, (1576–1636). Stefano Maderno, probabile fratello minore di Carlo, sebbene sarebbe in realtà nato a Palestrina, come indicato nell'atto di morte, è noto soprattutto come autore della famosa statua della santa martire Cecilia che si può ammirare nella basilica intitolata a questa giovane patrizia romana a Trastevere. Gli scogli e i due grifoni ai lati vengono invece attribuiti alla mano di Carlo Fancelli (1577-1640), capostipite di una famiglia di intagliatori di pietra, in seguito affermati scultori a Roma. Fancelli, in particolare, era nativo di Settignano, sobborgo della periferia nordorientale di Firenze, noto per le cave da cui si estraeva la pietra serena, da secoli utilizzata nel capoluogo toscano nell’edilizia di pregio. Secondo quanto racconta l’illustre architetto, pittore e storico dell’arte aretino Giorgio Vasari (1511–1574) fu proprio a Settignano, peraltro, che a fine marzo del 1475 venne affidato alla moglie di un ignoto scalpellino del posto Michelangelo Buonarroti (1475-1564), nato da poche settimane a Caprese, paese che oggi porta il suo nome, distante qualche decina di chilometri da Arezzo.
I due grifoni sono un omaggio al papa committente: nell’arme della famiglia Borghese troviamo, infatti, come simboli araldici, un grifone sormontato da un’aquila. Lo stesso uccello rapace, scolpito nel travertino, domina anche imperiosamente la sommità della stessa fontana alla quale dà il nome. Si tratta di un monumento di gusto tipicamente barocco, costituito da un ampio e profondo bacino di forma ellittica in travertino e da una serie di ombrosi incavi e nicchie, realizzati da roccaglie e tufi spugnosi, ricoperti di muschio e piante rampicanti. Delle cascatelle alimentano la grande vasca centrale, dalla quale emergono, in corrispondenza dei due fuochi dell’ellisse, le teste delle due ninfe, il cui corpo risulta interamente ricoperto dalle acque. La prolungata immersione ha gravemente danneggiato la statua di sinistra, rendendo necessaria la sostituzione con una copia mentre l’originale fu collocata nel prato antistante.
L’Acqua Paola tuttora alimenta le ben cento fontane disseminate del territorio dello Stato della Città del Vaticano. L’ultima ad essere stata realizzata, situata nel piazzale del Governatorato, è dedicata a San Giuseppe, padre adottivo di Gesù, per omaggiare papa Benedetto XVI (20o5-2013), il cui primo nome di battesimo è appunto Joseph (Giuseppe). Questo stesso pontefice, che l’ha personalmente inaugurata il 5 luglio 2010, ha poi trascorso gli ultimi anni della sua vita nel monastero Mater Ecclesiae, situato proprio alle spalle della Fontana dell’Aquilone.
In realtà quest’acqua, a seguito di accurati esami chimici e batteriologici, è risultata non particolarmente salubre e piuttosto leggera e insipida, tanto che i principali beneficiari, i trasteverini, delusi, fecero circolare il detto “valere come l’Acqua Paola” che equivaleva a dire “non valere nulla”. Del resto, ancora oggi a colui che non riesce a far andare nel verso giusto le cose, il romano verace usa dire: «C’hai l’Acqua Paola in testa» ma, data oggi la vitale importanza di un elemento come l’acqua, i cittadini romani devono, in ogni caso, riconoscenza a coloro che nel corso dei secoli hanno provveduto all’approvvigionamento idrico dell’Urbe.